mercoledì 27 luglio 2016

IL VELO FATATO

C'era una volta un pescatore che viveva felice in una misera capanna in riva al mare. Passava le sue giornate a pescare, poi andava a vendere il pesce in paese. La sua esistenza poteva sembrare monotona, perché non gli capitava mai nulla di straordinario; ma per lui erano cose straordinarie le albe color della madreperla, i meriggi col mare che sembrava uno specchio, i tramonti tutti rossi e d'oro, le notti tempestate di stelle, e perfino le burrasche, quando i nuvolosi neri sembravano abbassarsi fino a toccare la cresta schiumosa delle onde. Perciò egli trovava meravigliose tutte le sue ore e viveva felice e in pace con sé e con gli altri. Un mattino in cui, come al solito, era andato a pescare, mentre gettava l'amo nell'acqua, si guardò intorno e pensò: " Oggi è una giornata particolarmente splendida. Il mare è azzurro di cobalto, il cielo è terso e infinito, l'aria è purissima, il verde dei pini è smagliante". Mentre pensava così, sentì un profumo acuto e soave, che non avrebbe saputo attribuire a nessun fiore conosciuto, ma che era così forte da stordire. " Voglio vedere da dove proviene quel profumo così buono" pensò; e deposta la canna sulla riva, segui la scia del buon odore. Arrivato ai margini del bosco vide un magnifico velo appeso ai rami di un pino. Il profumo veniva proprio di là.
- Oh! - esclamò il pescatore. - Che meraviglia! Porterò a casa quel velo e lo conserverò come un tesoro a ricordo di questa stupenda giornata.
Subito si arrampicò sull'albero, stacco delicatamente il velo dai rami, poi ridiscese a terra. Distese con precauzione il velo sull'erba e rimase a guardarlo affascinato. Era davvero una meraviglia, il più bel velo che occhio d'uomo avesse mai visto. Intessuto di raggi di luna frammisti a raggi di sole, scintillava qua e là di lucentissime stelle; e nonostante fosse così largo da poter avvolgere una persona, era anche tanto sottile e leggiero che si poteva raccogliere tutto nel palmo di una mano. Dopo averlo ammirato a lungo, il pescatore lo piegò con precauzione e si avviò verso casa per riporlo; ma in quel momento dall'ombra di un pino sbucò una deliziosa fanciulla.

- Ehi, buon uomo, quel velo è mio! - gridò - E' il velo delle ninfe celesti. Ridammelo subito, per cortesia.
Senza nemmeno voltarsi il pescatore rispose:
- Allora è veramente un velo prezioso. Sarei uno sciocco, se te lo restituissi.

Poi si volse per vedere chi aveva parlato. La fanciulla che gli stava davanti era bellissima, una vera ninfa celeste. Aveva i capelli lunghi e neri sciolti sulle spalle; indossava un chimono che sembrava d'argento; ma in quel momento il suo viso era rigato di pianto.
- Ti prego, dammi il velo, altrimenti non potrò tornare fra le mie sorelle - supplicò con voce di pianto; e nel suo dolore sembrò anche più bella. (come i casino online)

Il pescatore non si staccava di contemplare la bellissima fanciulla, e a poco a poco il suo cuore si intenerì.
- Te lo restituirò se tu mi prometti di restare quaggiù con me a danzare le meravigliose danze del cielo - disse.

- Oh, si, danzerò per te; ma tu ridammi il velo.
- Fossi sciocco! Se te lo restituisco, tu voli subito in cielo e io non potrò mai più vederti, ne sono certo!
- No. Ho promesso che danzerò per te e lo farò. Nessun mortale ha mai veduto le danze delle ninfe celesti, ma tu lo vedrai. E sappi che le ninfe non mentono mai.
Il pescatore si lasciò pregare un altro poco, e infine restituì il velo. La fanciulla se ne avvolse e incominciò subito una danza meravigliosa. Il pescatore sedette sopra un tronco e la guardò rapito. Il velo ondeggiava intorno alla ninfa come sostenuto da mani invisibili, e intanto i suoi piedini si staccavano leggermente dalla terra; ella restò sospesa nell'aria, mentre dal cielo cadeva una pioggia di fiori stupendi. Il pescatore ben presto si accorse che i suoi timori erano fondati; vide con apprensione la fanciulla salire leggera nell'aria, allontanarsi, su, su, verso le cime del sacro monte Fugi. Voleva chiamarla ma non riusciva, voleva tendere le braccia, ma non poteva sollevarle. E pian piano la ninfa si dissipò nella nebbia che avvolgeva le pendici del Fugi, e le vette candide di neve. Non ci

fu più, all'orizzonte, che il meraviglioso panorama di sempre. Ma il pescatore sentiva nel cuore una gran pace e il ricordo di una viva felicità, come se si fosse appena svegliato da un bellissimo sogno. " E' davvero una giornata meravigliosa" penso. " Finché avrò vita non dimenticherò quella fanciulla soave". E ritornò a passi lenti alla riva del mare per riprendere la canna da pesca abbandonata poco prima sulla sabbia. 

I PRODIGI DI SCIRO

Molti e molti anni fa, in un piccolo villaggio del Giappone vivevano due vecchi sposi. Il marito, sebbene avanti con gli anni, coltivava il giardinetto, e ogni tanto andava sui monti a raccogliere un po' di legna; la moglie accudiva alla casa e preparava al marito delle buone minestre. Erano senza figli, e di questo si erano crucciati a lungo, ma avevano finito col rassegnarsi, cercando, in cambio, di farsi compagnia l'un l'altro. Un giorno il marito, secondo il solito, andò sulla montagna a raccogliere un po' di legna. Lavorò per tutta la mattina, poi sedette ai piedi di un albero per consumare la povera colazione. Mentre mangiava vide venire trotterellando dal bosco un cagnolino bianco, magro da far paura, che si mise seduto ai suoi piedi, seguendo attentamente con gli occhi umidi e intelligenti i movimenti delle mani che portavano il cibo alla bocca.
- Povera bestia! - esclamò il vecchietto - Chissà che fame hai! Tieni: mangia questo. È poco, ma non ho altro.
E diede al cane ciò che restava della sua colazione. Poi raccolse il fastello di legna e si diresse verso casa. Il cane gli si mise alle calcagna e lo seguì. Quando la moglie vide arrivare il cane si rallegrò moltissimo; lo accolse festosamente e gli preparò una buona zuppa, e una cuccia imbottita di vecchi panni vicino al camino.

- Questo cane non ha nome - osservò il vecchietto. - Come possiamo chiamarlo?
- Chiamiamolo Sciro - propose la moglie - è tanto bianco che questo nome è il più adatto. (Infatti "sciro" nella lingua giapponese significa: bianco). Il cane parve approvare quella scelta perché scodinzolò festosamente. Da quel giorno i tre vissero insieme e si volevano un gran bene; Sciro non si allontanava mai dai padroni e accompagnava il vecchietto dappertutto. Un giorno questi andò a zappare nel campiello e Sciro, secondo il solito, lo seguì. Quel campiello confinava con un altro che apparteneva a un vecchio avaro ed egoista. Dopo aver trotterellato su e giù, Sciro a un certo punto si fermò e incominciò a scavare nella terra abbaiando.
- Che cosa hai trovato? - gli chiese il vecchietto - Aspetta, che vengo.
E si avvicinò, ma con immensa sorpresa si accorse che Sciro, scavando, diceva in modo appena impercettibile:
- Scava qua, bau bau! Scava qua, bau bau!
Il vecchietto scavò, il cane raspò, e finalmente venne allo scoperto una vecchia pentola piena di monete d'oro. Il vecchietto felice, la portò a casa, ma l'invidioso vicino, che aveva visto tutto, si arrovellò per la gelosia. (una sorta di scommesse sportive)
- Dobbiamo farci prestare quel cane - disse alla moglie - Sciro troverà un tesoro anche per noi.
Infatti il giorno dopo l'avaro si presentò ai due vecchietti e disse:
- Io e mia moglie siamo soli. Dateci Sciro, affinché ci faccia un po' di compagnia.
Ai vecchietti rincresceva molto separarsi dal cane, ma non dissero di no.
- Poveretti! - risposero - Tenetelo pure per qualche ora.
Subito l'uomo afferrò Sciro per il collare, e il cane lo seguì malvolentieri. Non appena arrivarono nel campo, il vecchio lo prese per il collo e gli sfregò il naso in terra:
- Cerca subito un tesoro - intimò - Altrimenti ti farò assaggiare il mio bastone.
Sciro tentò di divincolarsi, ma l'uomo lo teneva sempre per il collo. Allora il cane cominciò a scavare. Ma raspa e scava, raspa e scava, fu portato alla luce soltanto un mucchio di cocci, tegole rotte, ossa e altre cose sporche. Allora il vecchietto inferocito afferrò il bastone e cominciò a menare gran colpi sulla schiena e sulla testa del cane che guaiva disperatamente. Udendo i lamenti di Sciro il padrone accorse.
- Non so che cosa ti abbia fatto il mio cane, ma perdonalo - esclamò - Ti domando io scusa per lui.
E raccolse fra le braccia il povero Sciro che, tutto dolorante, cercava di leccargli la mano. Ma il cattivo vicino aveva picchiato troppo forte, e nonostante le cure affettuose e premurose, il povero cane durante la notte morì. I vecchietti lo piansero molto, e il giorno dopo lo seppellirono in fondo al giardino e piantarono sulla sua tomba un germoglio di

pino. Da allora tutti i giorni andarono a visitare la tomba di Sciro e bagnavano con le loro lacrime il piccolo pino. Esso crebbe a vista d'occhio e in poco tempo diventò così grosso che non sarebbero bastate le braccia di tre uomini e circondare il tronco. Il vecchio commentava stupito:
- Questo non può essere che un prodigio del nostro Sciro. Certo nel tronco alberga l'anima sua.
- Penso anch'io che sia così - disse la vecchietta e un giorno propose:
- Ricordi quanto gli piaceva quel dolce fatto con farina di riso? Ebbene, perché con quel tronco tanto grosso non fai un mortaio affinché io possa preparare un dolce grandissimo da portare sulla sua tomba?

- Ottima idea, moglie mia! - approvò il marito; e in men che non si dica, tagliò il tronco e fece il mortaio.
Ma quando vi versarono il riso e incominciarono a pestarlo, si accorsero che il riso cresceva, cresceva. Crebbe tanto che infine traboccò, mentre ogni chicco, non appena toccava terra, si trasformava in una moneta d'oro. Il vicino che, spiando dalla finestra, aveva visto tutto, si presentò subito ai vecchietti e disse:

- Vorrei fare un dolce di riso per portarlo alla tomba di Sciro: mi prestereste il vostro mortaio?
- Con piacere; prendilo pure - gli risposero i due buoni vecchietti.
L'avaro prese il mortaio e tornò a casa. Ma quando incominciò a pestare il riso, si accorse che questo scemava di continuo, fin che non ne rimase più neanche un chicco, mentre i granellini caduti a terra si erano trasformati in brutti vermi. Allora il vecchio si infuriò, e impugnata una scure, fece il mortaio a pezzi, e li gettò nel camino. Il giorno dopo il buon vecchietto andò a farsi restituire il mortaio.

- L' ho bruciato - gli disse l'avaro. - Prendi la cenere, se vuoi.
Il vecchietto raccolse la cenere e tornò a casa; ma lungo la strada un colpo di vento ne fece volare via un poco, e dove si posava un bruscolino di cenere subito sbocciava un fiore. In breve tutti gli alberi intorno furono coperti di corolle come se fosse primavera. Il principe di quel paese, passando a cavallo, vide da lontano il prodigio.
- Sei tu che hai il potere di far fiorire gli alberi in inverno? - domandò - Sapresti far fiorire questo ciliegio?
Subito il vecchietto salì sull'albero, sparse un po' di cenere e il ciliegio fiorì. Il principe, ammirato, fece consegnare al vecchio un sacco di monete d'oro. Quando seppe del nuovo prodigio, l'avaro raccolse dal camino la poca cenere rimasta e s'avviò verso la strada dove il principe era solito passare.
- Io sono un fioritore! - gridò non appena lo vide. - Faccio fiorire gli alberi in pieno inverno. - Anche tu? - chiese il principe - Sei capace di far fiorire questo ciliegio?
Subito l'avaro salì sul ciliegio e gettò la cenere sui rami; ma i rami non fiorirono, mentre la cenere volò sul volto del principe e lo fece tossire e starnutire.
- Sia bastonato quell'insolente! - egli gridò sdegnato: ma l'avaro si gettò a terra piangendo. Pietà! Pietà! - supplicava - Sono stato malvagio e Sciro mi ha castigato.
Il principe lo perdonò e il vecchio avaro, pentito, divenne buono come i suoi vicini, e come loro visse a lungo felice sotto la protezione di Sciro.