mercoledì 4 febbraio 2015

IL GRANDE ISSUMBOSCI

Tanto tempo fa, viveva nel Giappone un bambino piccino piccino che si chiamava Issumbosci. Questo strano nome significa " Pollicino ", e infatti Issumbosci era alto e grosso proprio come un pollice, sebbene molto ben fatto e proporzionato. Aveva gli occhi neri tagliati a mandorla, i capelli raccolti sulla testa in un grazioso ciuffetto. I suoi genitori gli volevano bene, e quando andavano a lavorare nella risaia lo prendevano con sé e lo mettevano a sedere sopra un ramoscello o un sassolino raccomandandogli di non muoversi, altrimenti avrebbe potuto scivolare nell'acqua o cadere in qualche fossatello. Issumbosci era un bambino ubbidiente: stava fermo a guardare i genitori che lavoravano, e talvolta si riparava dal sole con una fogliolina, o si sdraiava su un petalo di fior di ciliegio per schiacciare un sonnellino. Intanto il tempo passava, anche per Issumbosci. Egli non cresceva mai, ma incominciava a ragionare come un ometto. Mentre stava seduto sul sassolino o sul ramoscello vedeva, nelle risaie vicine, gli altri ragazzi che si davano da fare per aiutare i loro genitori: chi stava chino sull'acqua per trapiantare il riso, chi affastellava gli steli mietuti, e chi infine li legava con una corda, li appendeva a un bastone sulla spalla e portava a casa il raccolto. Issumbosci invece non era capace di far niente. Non era nemmeno andato a scuola, perché i suoi genitori avevano paura che cadesse nel calamaio e restasse infilzato nella punta di un pennino. " Così non può andare avanti ! si disse un giorno. " Non posso passare il resto della mia vita a farmi vento con un petalo di fior di ciliegio. Poiché non sono capace di lavorare, vorrei almeno studiare e diventare sapiente. Ma le scuole più importanti sono tutte in città...bene. Andrò in città, e riuscirò un giorno a essere utile al mio prossimo anche se sono tanto piccolino." Detto fatto, scese dal ramoscello e si incamminò verso casa per chiedere il permesso al nonno, che era il capo della famiglia, e assomigliava a Issumbosci, anche se aveva la faccia piena di rughe, e una barbetta sottile e trasparente. Il nonno ascoltò con attenzione Issumbosci e approvò il suo progetto.
- Hai ragione - gli disse. - Fai bene a studiare perché che più sa, più vale. Un giorno potrai diventare un uomo importante anche se sei tanto piccino. E' meglio che tu vada in città per via acqua, navigando sul ruscello, lungo la strada potresti essere calpestato da qualche bufalo, o da qualche viandante. Prendi questa ciotola per il riso: ti servirà da barchetta; i bastoncini per il riso saranno i tuoi remi. Ma poiché potresti incontrare qualche pericolo è bene che tu sia armato. Eccoti un punteruolo che introdurrai in una festuca: così avrai la spada nella guaina. E ora ti benedico e pregherò gli dei per te.
Issumbosci si inginocchiò per ricevere la benedizione del nonno, poi ritornò alla risaia per avvertire i genitori. Anche i genitori lo benedissero e gli augurarono buona fortuna; quindi Issumbosci collocò la ciotola del riso sulle acque del ruscello, vi saltò dentro, impugnò i remi e partì. Il viaggio si svolse senza incidenti. Il ruscello ciangottava sui ciottoli e la sua voce gli faceva compagnia. Soltanto una volta Issumbosci fece uso delle armi, e fu quando un ranocchio verde e giallo, incuriosito dalla strana imbarcazione, si avvicinò per vedere meglio, saltando dall'una all'altra delle foglie di ninfea, e si fermò nel mezzo del ruscello impedendogli la strada.
- Scostati, che devo passare - ordinò Issumbosci.
- Cra, cra! - rispose il ranocchio in tono impertinente.
Allora Issumbosci sfoderò la spada e punzecchiò il ranocchio proprio sul naso. La bestiola spicco un salto e si tuffo nell'acqua provocando delle onde che fecero dondolare paurosamente la barca. Tuttavia, per fortuna, l'imbarcazione non si rovesciò, e Issumbosci poté riprendere il viaggio e giungere in città senza incidenti. Con i remi spinse la ciotola fino alla riva e scese a terra, poi entrò in città facendo bene attenzione a non essere schiacciato dai passanti. Come era bella la città, con case alte, pagode dagli strani tetti sovrapposti, viali di ciliegi fioriti, boschetti di salici piangenti, piazze larghe più di una risaia! Issumbosci camminava rasente ai muri ammirando tutte quelle meraviglie, ed era tanto affascinato dallo spettacolo che non si accorse che il sole tramontava e che la sera calava pian piano. Ormai le strade erano deserte; tutti erano rientrati in casa e le porte e


le porte e le botteghe erano chiuse. " Come faro " si chiese Issumbosci sgomentato. " Non vedo né un albergo né una locanda. Proverò a bussare a qualche porta. " e provò infatti, ma nessuno volle aprire, e neanche una finestra s'illuminò. " Pazienza " si disse allora. " Canterò, così mi passa la malinconia." Si appoggiò allo stipite di una porta e incominciò a cantare. Poco dopo la porta si aperse e apparve una fanciulla.
- Credevo che fosse un grillo a cantare - disse, rivolta a Issumbosci. - Entra, se no l'orco ti mangerà.
- Quale orco? - chiese Issumbosci entrando nella graziosa casetta.
- Un orco tutto rosso che sta nascosto nel boschetto del tempio.

- Io lo ucciderò con la mia spada - esclamò Issumbosci, e la fanciulla non rise, perché quel ragazzino tanto piccolo le piaceva.
Il giorno dopo andarono insieme al tempio, e Issumbosci, piccolo com'era, fu costretto a compiere salti prodigiosi per salire la gradinata di marmo. Quando furono in cima, l'orco sbuco dal boschetto. Era enorme, tutto rosso, aveva due corna sulla testa e le unghie simili ad artigli. Tutti fuggirono e la fanciulla svenne; ma Issumbosci si piantò a gambe larghe davanti al mostro.

- Mi fai ridere, gigante! - grido.
- E io ti annienterò moscerino! - rispose l'orco.
E ci provò, infatti, ma Issumbosci gli saltò sulla spalla e incominciò a punzecchiargli gli occhi.
L'orco cercava di afferrarlo, ma era come tentar di acchiappare un moscerino; Issumbosci saltellava da tutte le parti e l'orco finiva col lacerarsi con i suoi stessi artigli. Infine il ragazzino gli entrò in bocca, e scese fini alla pancia: la trapassò con il suo punteruolo e l'orco cadde a terra, morto. Issumbosci uscì dal buco assieme a un rivolo di monete d'oro. Intanto la fanciulla, che era rinvenuta, corse a raccogliere l'ultimo respiro dell'orco e lo gettò verso Issumbosci dicendo:
- Issumbosci, diventa grande!
Immediatamente il ragazzi incominciò a crescere e si trasformò in un magnifico giovane, che, felice, s'inginocchio davanti alla sua benefattrice. Da tutte le parti accorreva la gente, felice di essere stata liberata dal mostro e Issumbosci fu portato in trionfo. Più tardi egli imparò a leggere e a scrivere con i pennellini finissimi sulla carta di seta. Divenne un grande sapiente, sposò la bella fanciulla, e visse a lungo con lei in una casetta circondata dai ciliegi e dai mandorli in fiore.